(Lorenza Meucci:
Dirigente laboratori, ricerche e controlli del
Centro Ricerche SMAT di Torino – photo Emmanuele
Macaluso)
SMAT – VISITA AL CENTRO RICERCHE DI TORINO – “ACQUA
ITALIANA DALLA TERRA ALLO SPAZIO”
Lunedì, 25 settembre
2017
Torino, considerata da
molti come la “Houston d’Italia e d’Europa”,
è nota per la sua alta concentrazione di aziende di
eccellenza che operano nel settore aerospaziale.
Aziende dedite all’innovazione dal punto di
vista dei materiali e che si pongono come obiettivo
quello di far avanzare le conoscenze scientifiche
in un ambiente estremo come lo spazio. Tra
queste aziende, un posto di rilievo viene occupato
dalla SMAT (Società Metropolitana Acque
Torino S.p.a.) e dal suo Centro Ricerche.
È una calda mattinata di
metà settembre quando varchiamo il portone del
Centro Ricerche SMAT, immerso nel verde e a
pochi passi dal fiume Po. Ad accoglierci Marisa
Di Lauro, Responsabile dellehttp://cielipiemontesi.it Relazioni Esterne
dell’azienda, con la quale abbiamo organizzato
l’incontro e la successiva visita al centro.
Incontriamo Lorenza
Meucci, Dirigente laboratori, ricerche e
controlli del Centro Ricerche, in una sala riunioni
nel moderno fabbricato e inizia subito una lunga
intervista che unirà l’elemento di cui siamo fatti
allo spazio.
L’Ing. Meucci ci
racconta che il Centro Ricerche è nato nel 2008,
occupa circa 70 persone ed è stato il primo di
questo genere nato in Italia. Attualmente è
impegnato in 42 progetti e collabora con partner
pubblici, privati e università.
ACQUA SMAT NELLO
SPAZIO
Il primo progetto del
quale parliamo è quello che ha visto la SMAT
impegnata nella produzione di acqua destinata alla
ISS (International Space Station
- Stazione Spaziale Internazionale ndr).
Il progetto è iniziato
nel 2003, e prevedeva due tipologie di acque, una
per i cosmonauti russi e una per gli
astronauti americani. Le acque avevano requisiti
molto diversi ma una caratteristica comune: quella
di mantenere stabilità microbiologica per almeno 6
mesi.
Una sfida che ha
necessitato di 3 anni di ricerche e che è stata
vinta da SMAT. C’è da dire che per raggiungere
questo risultato, durante la fase di ricerca, si è
compreso che l’inalterabilità delle caratteristiche
del fluido non era solo dovuto alle caratteristiche
dell’acqua, ma molto dipendeva dai contenitori che
entravano in contatto con essa. Questo ha quindi
innalzato l’asticella della sfida da parte di tutti
gli enti coinvolti in questo progetto.
Nel 2006, dopo 3 anni di
messa a punto dei processi produttivi, si ottiene
l’autorizzazione finale della Nasa.
Il 9 marzo del 2008
quindi, dopo 5 anni dall’inizio del progetto, il
primo carico di acqua parte alla vota della ISS
nell’ambito della Missione Jules Verne.
Successivamente ci sarebbero stati altri 3 lanci,
nel 2012, 2013 e 2014 con la consegna totale di
22.700 litri di acqua e 4 carichi a bordo di vettori
spaziali.
Questo successo unito al
continuo spostamento dei limiti esplorativi e
scientifici, ha creato una nuova sfida in vista
delle future missioni di lunga durata. Nel 2014 è
stato avviato lo studio di un progetto definito
“Acqua per Marte”, nel quale SMAT è impegnata e che
prevede il raggiungimento della soglia dei tre anni
di stabilità dell’acqua dal punto di vista
microbiologico. Un’ulteriore barriera da abbattere.
BIOWYSE (Biocontamination
Integrated cOntrol of Wet sYstem for Space
Exploration)
L’innalzamento delle
soglie temporali per lo stoccaggio e l’utilizzo
dell’acqua nello spazio vede la nascita di un
innovativo progetto europeo chiamato BIOWYSE,
che vede il Centro Ricerche SMAT tra i protagonisti.
Per raccontarci di
BIOWYSE ci raggiunge Francesca Bersani, una
giovane e brillante ricercatrice, che sulle immagini
di un video (https://www.youtube.com/watch?v=8hc_hHqoHRw)
ci illustra gli obiettivi e le caratteristiche del
progetto.
Finanziato dall’Unione
Europea nell’ambito del bando Horizon 2020,
programma triennale avviato nel 2016, BIOWYSE
rappresenta lo sviluppo di un sistema integrato per
il controllo rapido della biocontaminazione di acque
destinate al consumo umano e di superfici umide
(infatti nello spazio si riutilizza anche la
condensa), da utilizzare nel circuito di riuso
dell’acqua sulla ISS, per missioni esplorative a
lungo raggio e sulla terra per situazioni di
criticità.
Si tratta di un
macchinario grande come un capiente frigo da pic
nic, dal peso di circa 50 Kg, che verrà
installato a bordo della ISS in modo assolutamente
compatibile e integrato con i sistemi idrici di
bordo. Il sistema potrà fare, in modo assolutamente
automatico, le analisi dell’acqua presente in un suo
serbatoio rivestito di argento. Nel caso l’acqua non
raggiungesse i rigidi standard per l’uso umano,
provvederà attraverso un ciclo di decontaminazione
ad adattarla ai requisiti richiesti.
Successivamente, sarà ricontrollata e, qualora non
fosse ancora “pura”, verrà sottoposta ad un
ulteriore ciclo.
Vediamo il processo nel
dettaglio e nelle sue 4 fasi:
- Fase 1: “Prevenzione”
– l’acqua entra in una tanica di stoccaggio
rivestita in argento con potere antimicrobiotico.
- Fase 2: “Monitoraggio”
– Un campione d’acqua passa dalla tanica di
stoccaggio ad un campionatore automatico per analisi
della bioluminescenza.
- Fase 3: “Eventuale
decontaminazione” – A svolgere l’azione di
decontaminazione troviamo 2 lampade UV-LED. Queste,
in base al livello di contaminazione operano in
simultanea o singolarmente.
- fase 4: “Controllo” –
L’acqua viene sottoposta ad un ulteriore sistema di
controllo collegato ad un’interfaccia operativa. Al
termine di questa fase, in base ai risultati l’acqua
sarà pronta all’utilizzo o reimmessa nel sistema di
contaminazione.
La complessità e
l’importanza di questo progetto è comprensibile
anche attraverso la lunga lista dei partner che sono
coinvolti nel consorzio, e che oltre alla SMAT vede
l’impegno di Thales Alenia Space Italia,
IRSA-CNR, Università degli Studi di Firenze,
Fondation Européenne de la Science (Francia),
GL-Biocontrol (Francia), AquiSense
Technologies (UK), Liewenthal Electronics
(Estonia), A-ETC (Repubblica Ceca).

(Francesca Bersani:
Ricercatrice del Centro Ricerche SMAT di Torino –
photo Emmanuele Macaluso)
BIOWYSE, oltre a
rappresentare uno strumento essenziale per le future
esplorazioni e missioni a lungo raggio, ci aiuta a
comprendere quanto la ricerca spaziale possa avere
ricadute positive e immediate anche sulla Terra. Uno
degli ambiti di ricerca infatti, vedrà l’utilizzo di
questo macchinario di analisi e bonifica dell’acqua
negli ambienti di crisi. Si immagini l’utilità di
uno strumento con queste caratteristiche in ambienti
dove a causa di disastri naturali non vi sia un
accesso diretto all’acqua potabile. Senza la
presenza di tecnici specializzati o biologi, il
macchinario sarebbe in grado di analizzare e operare
fino alla decontaminazione dell’acqua. Questo è un
fattore che merita il massimo apporto divulgativo
affinché si metta in evidenza come la corsa allo
spazio possa aiutare anche noi terrestri sul nostro
pianeta.
PERSEO (PErsonal
Radiation Shielding for intERplanetary missiOns)
Il Centro Ricerche SMAT
è attualmente impegnato in un altro progetto in
ambito aerospaziale denominato PERSEO.
Finanziato dall’ASI (Agenzia Spaziale
Italiana), e coordinato dall’Università di
Pavia, l’obiettivo del progetto è quello di
sviluppare un sistema di radioprotezione personale
da indossare per mitigare gli effetti della
radiazione cosmica sugli astronauti.
Per immaginare questo
dispositivo si deve pensare ad una sorta di “giubba”
come quella utilizzata dagli artificieri. Questo
giubbotto ergonomico, contiene al suo interno delle
sacche (in materiale polimerico inerte) riempite
d’acqua e collegate tra loro da un circuito di tubi
e valvole. Mediante il riempimento delle sacche, si
vuole utilizzare l’acqua come materiale isolante
dalle radiazioni cosmiche. Anche in questo caso,
come BIOWYSE, il sistema deve essere compatibile con
il sistema idrico a bordo della ISS.
Il prototipo è stato
consegnato per l’ispezione finale presso lo Space
Center di Houston il 5 luglio 2017 ed è partito
verso la ISS lo scorso 14 agosto alle ore 18:31. Il
giubbotto era stivato a bordo di una capsula cargo
Dragon della SpaceX di Elon Musk.
Ad attenderla, dopo 2 giorni di rincorsa attorno al
pianeta, il 16 agosto, l’astronauta italiano Paolo
Nespoli, che nell’ambito della “sua” MISSIONE
VITA testerà PERSEO e manderà sulla Terra
i risultati del test.
La costruzione di un
giubbino contenente delle sacche d’acqua potrebbe
portare chi legge a pensare che il suo sviluppo e la
sua produzione possano rappresentare un’impresa di
poco conto. Come spesso capita, anche in questo caso
sono i numeri a dare l’esatta visione delle
difficoltà dell’invio di un progetto in un ambiente
come lo spazio. PERSEO doveva rispondere a 116
requisiti, 51 dei quali erano a carico della SMAT.
L’intervista termina con
una visita alle sale di monitoraggio e di ricerca, e
ci lascia l’esatta percezione di come l’eccellenza
delle aziende si rispecchi non solo attraverso le
attrezzature, ma anche attraverso le caratteristiche
umane e tecniche che la compongono.
Emmanuele Macaluso |