(Nella foto l'Ingegnere Davide Sivolella
durante l'intervista -
Photo: Emmanuele Macaluso / COSMOBSERVER)
PERSONAGGI E PERSONALITA’: DAVIDE SIVOLELLA
(Tempo di lettura: 5
minuti)
28 febbraio 2019
Davide Sivolella,
classe 1981, è un ingegnere aerospaziale laureato al
Politecnico di Torino. È uno dei massimi esperti
mondiali del Programma Space Shuttle, al quale ha
dedicato due saggi: “To Orbit and Back Again – How
the Space Shuttle Flew in Space” (già recensito da
COSMOBSERVER qui) e “The Space Shuttle Program –
Technologies and Accomplishments” (in prossima
recensione), entrambi scritti in inglese e editi da
Springer. Attualmente vive e lavora in Gran Bretagna
ed è uno dei responsabili della manutenzione
straordinaria dei velivoli della compagnia aerea
British Airways.
-
È una bella giornata di
sole quella che fa da sfondo all’incontro con
Davide Sivolella. Nell’ambito scientifico molto
spesso l’esperienza e l’età vanno di pari passo.
Davide è sicuramente il più giovane intervistato da
COSMOBSERVER, tuttavia rappresenta
un’eccellenza assoluta. A detta di alcuni astronauti
ai quali abbiamo sottoposto i suoi due saggi sullo
Space Shuttle, quelli scritti da Sivolella
sono sembrati i più completi, corretti e
comprensibili. Quello che colpisce di Davide è
l’accento tipico di chi ormai pensa raramente in
italiano. Infatti, come purtroppo capita sempre più
spesso, ci siamo trovati di fronte all’ennesimo
“cervello in fuga” da un’Italia che dopo averlo
preparato e formato non lo ha accolto come meritava
nel mondo del lavoro. Un peccato, visto il valore
che ha successivamente dimostrato. L’intervista
inizia in modo informale e rilassato.
D. Davide, raccontaci
la tua storia
R. Dopo la laurea in
ingegneria aerospaziale, I° e II° livello con il
nuovo ordinamento, presso il Politecnico di
Torino, ho cercato lavoro nell’ambito delle
imprese aerospaziali. In attesa di risposta ho
deciso di andare a Londra per migliorare il mio
inglese. Sul sito di Ryanair, mentre cercavo
il biglietto aereo, ho visto che stavano cercando
ingegneri. Ho mandato il curriculum. Cinque giorni
dopo ho fatto il colloquio e mi hanno assunto. Mi
sono trasferito a Dublino, in Irlanda.
Successivamente mi sono trasferito nel Regno Unito,
rimanendo sempre nel settore aeronautico, e adesso
mi occupo della manutenzione straordinaria dei
velivoli della British Airways. È come se
lavorassi nel “pronto soccorso” degli aerei.
D. Dall’ingegneria
aerospaziale a quella aerea
R. Si, infatti io dico
sempre che “gli aerei sono delle astronavi che
volano basso e piano”.
D. Quando è nata la
passione per l’astronautica e per lo Space Shuttle
R. Credo sia una
vocazione. Non so esattamente come sia nata, ho
sempre avuto questo interesse fin da bambino. Sono
sempre stato affascinato dalle astronavi. Poi, sono
nato nel luglio del 1981, tre mesi dopo il primo
volo dello Space Shuttle, e il mio interesse per
quella macchina volante è stato naturale, perché mi
ha accompagnato per tutta la mia infanzia e la prima
parte della vita da adulto. Trovo lo shuttle
bellissimo, è versatile, ha fatto 135 missioni, ha
lanciato satelliti, telescopi e ha costruito la
ISS (International Space Station
nda) in una varietà assoluta di attività
spaziali, che hanno dato molte indicazioni all’uomo
su come vivere (e sopravvivere) e lavorare in
quell’ambiente estremo. Quasi ogni missione era
totalmente diversa dalla precedente. Con fino a
sette astronauti a bordo, ha spinto la capacità di
organizzazione delle attività di volo al limite.
L’organizzazione di ogni singola missione da parte
della NASA era complicatissima, così come
complessa era la gestione della flotta di navette e
la manutenzione di un veicolo riutilizzabile che
rientra dallo spazio.
D. Quali sono stati i
difetti dello Space Shuttle?
R. Il Programma Space
Shuttle non venne finanziato come avrebbe dovuto. La
storia del programma dimostra come la NASA dovette
scendere a compromessi, creando un’alleanza con
l’aeronautica militare americana per avere più
fondi. L’aeronautica in cambio del suo
appoggio ha quindi dato dei requisiti molto
stringenti per la progettazione della navicella. Ad
esempio richiedeva un’alta manovrabilità che ha
portato alla costruzione delle inconfondibili ali a
delta, che ha a sua volta aumentato la superficie
esposta al calore del rientro. Questo fattore ha
portato alla progettazione di quel sistema di
“piastrelle” di protezione che era molto laborioso
dal punto di vista della manutenzione. Un punto
debole, perché le mattonelle erano efficaci dal
punto di vista della protezione, ma molto fragili.
La tragedia dello Space Shuttle Columbia
(STS-107 nda) ne è la drammatica prova.
Un altro grosso problema
è che non c’è un sistema di salvataggio per gli
astronauti, al contrario del Programma Apollo
o di quello attivo sulla Soyuz che qualche
mese fa ha salvato i cosmonauti a pochi minuti dalla
partenza.
Nei due disastri che
hanno coinvolto il Challenger e il
Columbia, non c’era la possibilità di isolare la
sezione che conteneva gli astronauti dal resto del
velivolo. Anche in questo caso, la mancanza di
questo sistema era la conseguenza della mancanza di
fondi da parte della NASA.
C’è un fatto che non è
molto conosciuto. La NASA cominciò a progettare lo
shuttle ancor prima della fine ufficiale del
Programma Apollo. Il fatto di aver portato degli
uomini sulla Luna, incise sulla mentalità
degli ingegneri, che in quel periodo si sentivano in
grado di fare praticamente tutto. Ne è una prova il
fatto che il primo volo dello shuttle, fu un volo
con equipaggio (1). Prima di allora, qualsiasi
astronave venne testata in modo “automatico”, ovvero
senza equipaggio. Questo eccesso di confidenza portò
ad alcuni errori dal punto di vista progettuale.
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"Gli
aerei sono delle astronavi che volano basso e piano"
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D. Parliamo dei tuoi
due libri. Entrambi dedicati allo Space Shuttle.
Cominciamo dal primo “To Orbit and Back Again –
How the Space Shuttle Flew in Space”
R. Ho studiato
ingegneria per capire come funzionano le cose. Fin da
piccolo volevo capire come funzionava lo shuttle. In
Italia non c’era una letteratura adeguata, e sono
cresciuto leggendo articoli, che però davano molto
spazio alle missioni più che al velivolo. Volevo
saperne di più, scendere nei dettagli. Intorno ai 20
anni, studiavo già ingegneria, e con una delle prime
connessioni ADSL, ho cominciato ad entrare in
contatto con una mole di informazioni direttamente
dal sito della NASA. Una vera e propria miniera di
documenti tecnici. Entrando in possesso di quel
materiale, mi sono ripromesso di scrivere un libro
che fosse una via di mezzo tra una pubblicazione
“base” e una “molto tecnica”. Volevo creare una
sorta di ponte tra i non addetti ai lavori e gli
ingegneri.
Il primo libro è diviso
in due parti. La prima parte è dedicata ai sistemi
di bordo, come ad esempio i motori, sistema di
protezione termica, elettrico e così via. La seconda
parte del libro invece è dedicata alle procedure di
volo. Quindi, dopo aver compreso come funziona la
navicella, ho voluto approfondire la sua operatività
di volo durante le varie fasi, dal lancio fino al
rientro. Ho voluto scrivere questo libro per offrire
al lettore una visione estesa e complessiva dello
Space Shuttle. Il libro è molto tecnico, ma meno
rispetto ad un manuale di ingegneria.
D. Presto faremo la
recensione del secondo saggio: “The Space Shuttle
Program – Technologies and Accomplishments”. Ce ne
vuoi parlare?
R. Il secondo libro è
dedicato alla tecnologia delle missioni del
programma. Ho quindi preso in considerazione alcune
delle missioni e degli esperimenti più importanti.
Tra questi lo “Spacelab”,
un laboratorio spaziale che ha volato una ventina di
volte, la cui costruzione dell’involucro esterno è
stata effettuata a Torino. Un altro esempio, è il
capitolo di circa 40 pagine dedicato al “satellite
al guinzaglio”, uno degli esperimenti più
complessi dell’intero programma, anche questo con
una forte matrice italiana.
Questo secondo libro è
meno tecnico del primo, è scritto con uno stile più
narrativo, in modo da poter entrate in contatto con
un pubblico più ampio.
Lo scopo di questi libri
è quello di divulgare, di far conoscere queste
grandi imprese tecnologiche e umane e far
appassionare le nuove generazioni alla scienza e
allo spazio.
D. Concludiamo questa
chiaccherata con una tua definizione di divulgazione
scientifica
R. Credo che si tratti
di spiegare in termini comprensibili delle tematiche
complesse. Scienza e tecnologia non
sono argomenti facili, e non tutto può e deve essere
ridotto ad una frase o ad un titolo. Bisogna dare
delle informazioni che siano corrette dal punto di
vista scientifico, ma comprensibili anche dalle
persone che non hanno seguito un piano di studi
legato a quella materia specifica.
L’intervista si conclude
e si scattano le foto di rito per la pubblicazione.
Si continua a parlare di spazio, scienza, tecnologia
e divulgazione. Davide ha ancora molti progetti
divulgativi, non solo dedicati allo Space Shuttle ma
anche all’astronautica più ad ampio spettro. Vi
daremo conto più avanti di queste attività che
seguiremo con piacere, cercando di dare il nostro
supporto ad un giovane ingegnere italiano che
speriamo di rivedere presto in patria.
Emmanuele Macaluso
Note:
(1) Il primo lancio
dello Space Shuttle avvenne 12 aprile 1981. A bordo
dello Space Shuttle Columbia, per questa missione
codificata come STS-1, c’erano gli astronauti
Robert Crippen (pilota) e John W. Young
(comandante). La missione terminò il 14 aprile, con
l’atterraggio del Columbia dopo 2 giorni, 6 ore, 20
minuti e 53 secondi.
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