(Nella foto Maurizio Cheli con un modellino dello
Space Shuttle.
Credits: Emmanuele Macaluso)
PERSONAGGI E PERSONALITA': INTERVISTA
A MAURIZIO CHELI
Mercoledì, 16 dicembre
2015
Maurizio Cheli
nasce a Modena nel 1959 e passa la sua infanzia a
Zocca. Nel 1978 entra all’Accademia
Aeronautica di Pozzuoli dove diventa pilota
militare e collaudatore.
Nel
1992 entra all’ESA (European Space Agency)
e viene inviato al Johnson Space Center della
NASA, a Houston in Texas.
Nel
1996, per 15 giorni, 17 ore e 41 minuti, viene
inviato nello spazio a bordo dello Space Shuttle
Columbia con la missione STS-75. Durante
la missione, Maurizio Cheli diventa il primo
“Mission Specialist” italiano della storia.
Nello stesso anno viene assunto da Alenia
Aeronautica e ottiene l’incarico di Capo
Pilota Colaudatore per i velivoli della difesa e
diviene il responsabile dello sviluppo operativo
dell’Eurofighter Typhoon.
Nel
2005 fonda CFM Air, un’azienda che si occupa
di progettazione di velivoli leggeri avanzati e
diventa un imprenditore. Nel maggio 2015 pubblica “Tutto
in un istante”, edito da Minerva Edizioni
e con le note di Marianne Merchez, il suo
primo libro attraverso il quale racconta la sua
epopea sulla Terra e nello spazio.
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È un
pomeriggio assolato all’Aero Club di Torino.
Maurizio Cheli arriva al nostro appuntamento
a bordo della sua moto. Tolto il casco mi guarda e
ci salutiamo con un grosso sorriso. L’intervista non
avrebbe potuto avvenire in un posto più consono alla
passione che ha portato Maurizio oltre l’atmosfera
terrestre: il volo.
Maurizio non è l’astronauta che ti aspetti. Ha
ovviamente un approccio serio alle cose, e quindi
anche alla nostra intervista, ma ha un modo genuino,
vitale e contemporaneamente semplice e pragmatico di
porsi nei confronti del suo interlocutore. Mi trovo
di fronte ad un uomo che è anche simpatico, e non è
“rinchiuso” nel ruolo dell’astronauta rigido e
marziale, nonostante la lunga carriera militare.
Tempo di ordinare un caffè da assaporare mentre i
velivoli continuano a decollare e a muoversi sulla
pista di atterraggio vicino al nostro tavolo e
l’intervista ha inizio.
D.
Quando avevi 10 anni, nel 1969, è avvenuto lo sbarco
sulla Luna dell’Apollo 11. Mi racconti come hai
vissuto quel momento e quanto ti ha influenzato?
R.
Nonostante la giovane età me lo ricordo benissimo.
Non avevamo la televisione in casa e siamo andati a
vederlo nel bar del paese, che era l’unico bar che
aveva la TV. I miei genitori mi hanno dato il
permesso di rimanere sveglio fino a tardi vista
l’eccezionalità del momento. E io ricordo che
guardavo questi uomini sulla Luna, sembrava una di
quelle cose che potevano succedere solo nei film.
Ricordo che uscivo dal bar e guardavo la Luna,
pensando che in quel momento lì sopra c’erano delle
persone. E quel ricordo non mi ha mai abbandonato.
Anche adesso, quando guardo il nostro satellite
naturale, non mi sembra possibile che qualcuno abbia
potuto arrivare fin lì. È una cosa ancora così
stimolante dal punto di vista tecnologico.
Quando sono arrivato alla Nasa, ho avuto la fortuna
di conoscere John Young (1), che ha avuto la
possibilità di viaggiare verso la Luna con il
progetto Apollo e gli ho fatto molte domande.
Intanto si deve pensare che gli astronauti dell’Apollo
avevano un’operatività che durava una settimana,
credo che ancora oggi, non esista nulla di così
complesso e tecnico come il viaggio sulla Luna.
D.
Parliamo del lungo addestramento alla NASA. Qual è
la cosa che ti piaceva fare più e quella che non
avresti mai voluto fare durante quei mesi?
R.
Quelle che mi piacevano fare di più erano quelle più
operative. Mi piaceva fare l’addestramento
integrato, quelle che si facevano con i tre membri
dell’equipaggio, quindi pilota, comandante e MS2
(MS2 – Mission Specialist 2 era Cheli ndr).
In
quegli addestramenti hai il contatto diretto con i
controlli di volo, dalle emergenze alle sequenze.
Una vera e propria sfida con te stesso, perché
spesso durante le simulazioni venivano immesse delle
emergenze complesse e bisognava risolverle. Era
un’insieme tra conoscenza del sistema e
l’interpretazione dei sintomi del problema, della
diagnosi e della capacità di porre rimedio in tempi
brevissimi.
Un’altra cosa che mi piaceva provare era il “braccio
robotico”, perché era qualcosa che si avvicinava
molto al pilotaggio. Anche in quel caso si
simulavano malfunzionamenti e molto spesso si
passava da un sistema di controllo con il joystick
ad un sistema che andava a lavorare sul singolo
giunto del braccio robotico. Decisamente più
complesso.
Oltre questo mi piaceva la parte di addestramento
extraveicolare (EVA), che era obbligatoria
per tutti.
La
cosa che mi piaceva meno, era quella che si faceva
davanti al computer e che serviva ad entrare in
contatto con le varie emergenze. Era la parte più
noiosa anche se aveva la sua importanza perché è
quella di apprendimento e della didattica. Preferivo
sicuramente la parte più operativa.
D.
Cosa hai provato la prima volta che hai visto uno
Space Shuttle?
R. È
impressionante! Era molto più grande di quanto
immaginassi. Credevo fosse più piccolo. Vederlo
rivolto verso l’alto è incredibile. E poi, è “la
macchina che ti porta nello spazio”. È stato davvero
emozionante.
D.
C’è una cosa che hai scritto nel libro e che mi ha
aiutato a fotografare una cosa alla quale non avevo
mai pensato. Un viaggio nello spazio, in orbita
attorno alla Terra, avviene in un ambiente estremo,
ma di fatto equivale a 3 ore di auto in termini di
distanza.
R.
La maggior parte delle persone non se ne rende
conto. Soprattutto quelle della mia generazione o di
quelle precedenti. Si pensa che quando sei nello
spazio vedi la Terra come se fosse una
“pallina blu”, come nelle foto del progetto
Apollo. Come se vedessi la Terra dalla Luna.
La
verità è che loro andavano a 380.000 km dalla Terra,
noi giravamo attorno al pianeta a “soli” 380 km di
distanza. Vedi la curvatura della Terra, e il
pianeta non rientra completamente nel tuo campo
visivo. Dire che la distanza è quella di tre ore di
macchina aiuta la gente a mettere meglio a fuoco la
distanza alla quale ruoti attorno alle loro teste.
D.
Da astrofilo, non nascondo un po’ di invidia perché
hai visto lo spazio e le stelle senza il filtro
dell’atmosfera. Descrivimi quello che hai visto.
R. È
stato incredibile. Le stelle sono molto più
brillanti e sono molte di più quelle che si riescono
a vedere dalla Terra, soprattutto quando con lo
shuttle sei nella parte notturna dell’orbita attorno
al pianeta. Capitava che quando entravamo nella
parte notturna dell’orbita, per goderci lo
spettacolo delle stelle abbassassimo le luci
all’interno del Columbia per guardare fuori.
Anche la Luna e il Sole sono molto più brillanti.
D.
Qual è stato il momento “icona” della tua epopea
nello spazio?
R.
Ne ho due. Sono due momenti con emozioni diverse.
Il
primo, quando sono arrivato in orbita, dovevo aprire
il portellone dello Shuttle. L’operazione avveniva
lentamente e io la guardavo attraverso due
finestrini. Nonostante avessi già visto la Terra dai
finestrini anteriori, vedere il mio pianeta sullo
sfondo di questi pannelli che si aprivano lentamente
e me la mostravano come se fosse un sipario, è stata
un’emozione fortissima. Avevo nel mio campo visivo
il Columbia e la Terra.
È
come se mi fossi reso conto che “lo stavo facendo”
davvero.
Il
secondo, al rientro nell’atmosfera. Quando eravamo
all’interno di una palla di fuoco. Ero preparato a
tante cose, ma prepararsi a quello è impossibile.
Per 10 minuti sei avvolto dalle fiamme. Sei in una
galleria del vento, solo che il pezzo da testare sei
tu. Vedi tutto da dentro e non da fuori. È
impressionante.
Poi,
non è una cosa statica, ma dinamica. Per intenderci,
non vedi semplicemente rosso, ma vedi le fiamme che
ti avvolgono e si muovono seguendo il campo
aerodinamico dello shuttle.
D.
Alla base di tutto quello che hai vissuto c’è la
passione per il volo. Non importa in quale
direzione! Ma c’è anche un’altra cosa, che è la
volontà del cambiamento. Adesso sei un imprenditore
e ti occupi sempre di volo e aeroplani.
R.
La mia avventura da imprenditore arriva dopo la mia
esperienza di collaudatore. È successo che un giorno
sono arrivato in un piccolo campo volo, con una
pista in erba da 300 metri. All’interno del campo
c’erano dei velivoli molto semplici. Quello che mi
ha colpito era la passione delle persone. Sembrava
di rivivere l’epopea degli anni ’30 in America dove
la passione la faceva ancora da padrone. In quel
posto c’erano persone che si trovavano lì per il
solo gusto di volare. Nessuna necessità
professionale o altro.
Ho
iniziato a volare con questi piccoli velivoli e ho
riassaporato un grande senso di libertà. Una
sensazione molto diversa rispetto ai caccia
performanti e alla grande professionalità richiesta
nelle aziende per le quali avevo operato.
Un
giorno, insieme ad un mio amico abbiamo deciso di
portare le nostre esperienze aeronautiche in questo
campo in modo da dare il nostro contributo. È
iniziato tutto così.
D.
Il tuo lavoro ti ha portato a girare il mondo e in
situazioni decisamente diverse. Come gestisci le
relazioni?
R. È
un problema, perché non sei mai radicato al luogo
nel quale ti trovi. Nel corso degli anni però, mi
sono reso conto che molto dipende molto dalla
tecnologia di cui disponi. Ad esempio quando ero in
accademia per telefonare avevo i sacchetti con i
gettoni. 2 soli telefoni e una fila di altri che
come te volevano chiamare casa o la fidanzata. Ora
hai uno smartphone e questo rende tutto più
semplice. E in più adesso è anche più facile
viaggiare.
Ma
al di là di questo, delle tecnologie e dei canali,
ci vuole sempre la frequentazione e appena possibile
rivedo i miei amici. Torno magari a Zocca, dove ho
una casetta. Avevo bisogno di sapere che c’è un
posto che è la mia “casa”, dove tengo le cose a cui
tengo di più.
D.
Il primo febbraio del 2003, il “tuo” Shuttle, il
Columbia, si è disintegrato al suo ritorno sulla
Terra. Quali sono state le tue sensazioni davanti a
quelle drammatiche immagini?
R. È
stata una sensazione molto forte. La propria navetta
è come la “prima macchina” per un astronauta, non
puoi non essere in qualche modo “attaccato” a quel
mezzo. È la tua navetta, la senti tua.
Tra
l’altro la zona dove è successo l’incidente io la
ricordo molto bene. È in assoluto il posto dove ho
provato e percepito la velocità in modo più forte in
tutta la mia vita. Nonostante abbia volato con
velivoli molto performanti, lì è stata superata
qualsiasi soglia avessi mai varcato prima. In quel
punto la velocità è di circa 19/20 volte quella del
suono e sei solo a circa 75 km dal suolo. La
sensazione della velocità è enorme perché è una
combinazione tra velocità e quota. Lì è fortissima
perché al rientro sei già abbastanza vicino al suolo
da percepire quella velocità enorme. In più quello è
il posto dove il calore arriva alla punta massima.
Quando ho visto le immagini del Columbia sono
rimasto con la bocca aperta. Un’astronauta sa che il
lavoro che andrà a fare ha molti rischi. È una
sensazione che hai “dietro il cervello” e ti
accompagna, ma vederlo davanti agli occhi, guardarlo
accadere e rendersene conto è una sensazione
fortissima e triste. Non solo per la navetta, ma
anche per le persone a bordo che, al di là delle
divergenze personali, erano lì sopra con la tua
stessa passione.
D.
Di solito le interviste finiscono con una domanda
sull’importanza della divulgazione. Tu hai una
grande capacità di divulgare, di semplificare i tuoi
racconti e di renderli fruibili a tutti. È una cosa
innata o ha fatto parte del tuo addestramento?
R.
No, non mi sono addestrato per questo. Fa parte
dell’esperienza e del confronto con la gente. Cerco
di fare dei parallelismi che portino tutti a
comprendere quello che ho vissuto, attraverso esempi
della quotidianità, mettendo chi mi ascolta nella
possibilità di segurmi nel racconto.
L’intervista si conclude e inizia una lunga
chiaccherata fatta di passioni comuni e curiosità. È
possibile seguire Maurizio Cheli nelle sue attività
e nei suoi incontri attraverso il suo sito web
www.mauriziocheli.com o la pagina facebook del
suo libro all’indirizzo
https://www.facebook.com/tuttoinunistantelibro
Emmanuele Macaluso
(1)
John Watts Young è un ex astronauta statunitense.
Young è stato il nono uomo a porre il suo piede
sulla Luna e l'unico americano che volò con le
navicelle spaziali Gemini ed Apollo come pure con lo
Space Shuttle. |