(Nella foto il fisico Attilio Ferrari
all'interno di INFINI.To - Planetario di Torino.
Credits photo Emmanuele Macaluso)
PERSONAGGI E PERSONALITA': INTERVISTA
AD
ATTILIO FERRARI
Mercoledì, 27 maggio
2015
Attilio Ferrari
è un fisico e docente
universitario. Attualmente è Presidente del
Consorzio Interuniversitario per la Fisica Spaziale
(CIFS), dell’Associazione ApritiCielo del
Parco Astronomico INFINI.TO di Pino Torinese
(To) e Visiting Professor al Dipartimento di
Astronomia e Astrofisica dell’Università di Chicago
ed è affiliato al M.I.T. di Boston.
È stato Direttore
dell’Osservatorio Astronomico di Torino ed è
stato alla guida di progetti scientifici
internazionali. Ha presieduto il Comitato
organizzatore dell’International Year of
Astronomy 2009 a Torino ed è un divulgatore
scientifico.
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Sono le due del
pomeriggio, quando chiudendo la portiera della mia
automobile sul parcheggio di Infini.To (il
planetario di Torino), mi fermo per scattare una
foto alla struttura prima di entrarvi per
intervistare il Prof. Attilio Ferrari. Ho conosciuto
il professore durante un corso di astrofisica, una
delle sue tante attività di divulgazione, e in
quell’occasione ho richiesto l’incontro che sto
documentando in questo articolo. Entrato nella
struttura, rimango colpito dalle gioiose “urla” che
provengono dai piani sottostanti. Alcune scolaresche
stanno partecipando a dei laboratori didattici e a
quanto pare si stanno divertendo molto. Mentre mi
accompagnano nell’ufficio del direttore mi domando
se i ragazzi si stiano rendendo conto di quanto
stiano imparando divertendosi, e di quanto siano
fortunati a farlo in un luogo come quello che ci sta
ospitando. I miei pensieri cambiano quando entro
nell’ufficio del Prof. Ferrari e mi devo concentrare
sulle domande, ma ancora di più sulle risposte che
riceverò.
Il Direttore mi invita a
sedermi e chiude la porta per isolarci dalle “urla”,
pur accorgendoci entrambi che è solo una scelta
legata alla comodità della registrazione audio che
mi serve per scrivere l’articolo e non per la
volontà di “non essere disturbati”. Anzi, alle
nostre orecchie quei suoni sono tranquillizzanti, ci
danno speranza per il futuro.
Grazie anche a questo
clima, la nostra intervista inizia in modo rilassato
e informale.
D. Come e quando ha
deciso di diventare un astrofisico
Non ho un background da
astrofilo e ho fatto il liceo classico, non quello
scientifico. Ho dato la maturità nel 1960. In quegli
anni, la scienza “di moda” era la fisica nucleare.
La scelta è avvenuta all’università, quando ho
incontrato il fisico cosmico Wataghin (1) che mi ha
indirizzato verso la scelta dell’astrofisica. Credo
che sia stato proprio quello il momento preciso che
ha segnato la mia carriera.
D. Quali sono gli
ambiti di studio che ha sviluppato durante la sua
carriera
Mi sono laureato con una
tesi sulla relatività generale nel 1964. Gli ambiti
si sono poi evoluti e mi hanno portato a studiare
anche all’estero, soprattutto negli Stati Uniti
d’America. Durante la mia carriera mi sono occupato
di astrofisica delle stelle, di struttura stellare,
astrofisica dei plasmi. E gli studi mi hanno portato
nel 1968 all’università di Princeton. Tra l’altro in
un anno molto importante per la fisica, perché
proprio nel ’68 sono state scoperte le pulsar. Di
seguito sono partito per il M.I.T. di Boston e poi
sono rientrato in Italia dove ho continuato le mie
ricerche e le mie attività.
D. Lei è Visiting
Professor al Department of Astronomy and
Astrophysics dell’Università di Chicago ed è
affiliato al “Centro dei Plasmi” del M.I.T. di
Boston, quali sono le differenze di approccio allo
studio e alla divulgazione che ha notato tra
l’Italia e gli Stati Uniti d’America?
Fare un raffronto tra
l’Italia e gli Stati Uniti è difficile. Direi che
per quanto riguarda gli studi non c’è una grande
differenza. I nostri studenti fanno bella figura
quando si recano all’estero, in termini di
preparazione e conoscenze. La differenza diventa
visibile nella fase successiva, dal dottorato in
poi. Questo perché il sistema universitario
americano è diverso dal nostro, e agli studenti
vengono messi a disposizione strumenti e risorse
economiche decisamente superiori, e questo fa la
differenza. A questo si aggiunga che le università
americane compongono un sistema competitivo che
porta l’attenzione e il denaro degli investitori
negli atenei. Si aggiunga ancora che, in quel
contesto, il prestigio delle università, dei suoi
docenti e studenti porta benefici che possono essere
valutati anche sul lungo periodo. Qui in Italia non
fa differenza, tranne rare eccezioni, dove ti
laurei, si da attenzione al titolo raggiunto. In
America l’ateneo che ti ha rilasciato la laurea ha
un peso notevole.
D. Lei è stato
direttore dell’Osservatorio Astronomico di Torino,
quali sono le difficoltà e le soddisfazioni di un
incarico così importante?
Quando sono diventato
direttore dell’osservatorio le condizioni erano
molto diverse da quelle di oggi. A quei tempi gli
osservatori in Italia erano 12 ed erano sotto
l’egida del Ministero della Cultura (e continue
varianti del nome successivi ndr). Io mi occupavo di
diverse attività. Le mie responsabilità spaziavano
dall’aspetto amministrativo fino a quello
scientifico e di gestione delle risorse umane. A
questo proposito, molto spesso, scherzando, dico che
il mio lavoro non era all’osservatorio ma
“all’ambulatorio”. Questo perché il mio lavoro
consisteva anche nel motivare i membri del mio staff
nell’andare avanti nelle ricerche e nelle altre
attività dell’osservatorio.
Nella seconda metà degli
anni ’90 la situazione è cambiata e l’osservatorio è
diventato più indipendente dal punto di vista
amministrativo. All’inizio degli anni 2000 è nata
l’illusione di fare un Istituto di Fisica Nazionale,
idea nata con una decina di anni rispetto alle
tempistiche auspicabili. Credo sia stato un po’
tardi. Ora le cose vanno meglio. Io ho seguito in
prima persona questo grande cambiamento.
Le soddisfazioni che ho
avuto da quell’incarico sono molte. Molte delle
“linee di ricerca” che ho voluto e seguito hanno
avuto successo. All’Osservatorio Astrofisico di
Torino c’è un gruppo che lavora sulla fisica solare
ad esempio e i nostri astro telemetristi, nonostante
qualche mio dubbio iniziale, stanno raggiungendo
risultati notevoli e hanno un ruolo da protagonisti
nel progetto Gaia. (2)
D. Attualmente
presiede l’associazione ApritiCielo e del Parco
astronomico di Torino che gestisce Infini.To il
Planetario di Torino. Ci parli di questa attività e
dei suoi obiettivi.
ApritiCielo è nata da
una mia idea quando ero direttore dell’osservatorio.
Credo che i risultati degli enti di ricerca debbano
essere divulgati. Il Parco Astronomico di Torino
vuole essere una “finestra” per dimostrare al mondo
i risultati della ricerca astronomica torinese e non
solo. L’inaugurazione è avvenuta nel 2007, ma l’idea
è dei primi anni ’90. I primi soldi per gli studi di
fattibilità sono arrivati nel 1997 e da allora
l’avventura è partita.
D. Di solito chiedo
sempre, a chi ha avuto la fortuna di vivere quel
momento, come ha vissuto lo sbarco sulla Luna
dell’Apollo 11. Ci racconta la sua esperienza?
Nel luglio del 1969 ero
a Princeton. Quella sera ero appena tornato da
Washinghton dove mi ero recato per piacere insieme
alla mia famiglia. Vidi l’allunaggio attraverso lo
schermo della mia televisione in bianco e nero
insieme a mia moglie e mio figlio che ai tempi era
piccolo. (anche lui ora al M.I.T. di Boston ndr).
In quel periodo c’era
molta euforia intorno alle missioni lunari. Qualche
mese prima l’Apollo 8 aveva circumnavigato la Luna,
con quella missione che ricorderemo per la foto
della Terra vista dal nostro satellite. Il primo
allunaggio fu una cosa eccezionale, e sebbene i
media avessero messo in grande evidenza questo fatto
storico, bisogna pensare che ai tempi gli organi di
stampa erano solo i giornali, la radio e la
televisione. Non esistevano il web e la tecnologia
alla quale siamo ora abituati, e quindi non si era
sottoposti all’odierno bombardamento mediatico.
Ai tempi dello sbarco
avevo 28 anni, e l’ho vissuto con l’entusiasmo
tipico di quell’età, mentre l’idea comune era che
ormai “non ci poteva fermare più nessuno “ e che
tutto sarebbe stato possibile.
Una delle cose che
ricordo è la telecronaca che seguii e che era
condotta da Walter Cronkite della CBS, che nel
momento dell’allunaggio ripeteva la frase “Oh boy!
Oh boy!”, che è un’esortazione che potrebbe essere
paragonato al nostro “accidenti!”.
D. Quali sono le
prossime frontiere dell’astrofisica e in quale modo
possono ricadere sulla società.
La fisica fa da
“motivatore” alle altre scienze e ne è alla base.
Vale per l’astronomia, l’astronautica. Questa spinta
motivazionale ha aiutato le altre scienze ad
evolversi, e a raggiungere quei risultati
tecnologici e di conoscenze con le quali entriamo in
contatto quotidianamente. Pensate alle fotocamere,
ai telefonini ecc.
Credo che le prossime
frontiere della fisica siano legate alla ricerca
della conoscenza della materia oscura. Soprattutto
dopo che abbiamo scoperto che la materia non
visibile è di più di quella visibile. Un altro
ambito di interesse per il futuro sarà la fusione.
Sono coinvolto in un progetto italo-russo per la
costruzione di un reattore nucleare a fusione. Se
funzionasse, si potrebbe creare una grane quantità
di energia con un rilascio di materiale radioattivo
decisamente inferiore rispetto alla scissione.
D. Quali sono le sue
attività da divulgatore previste per i prossimi
mesi?
Sto scrivendo due libri.
Il primo è dedicato ai bambini, il titolo non è
stato ancora scelto, ma posso anticipare che darò
100 risposte a 100 domande sull’astrofisica.
Il secondo è una
raccolta delle conferenze che ho fatto negli ultimi
cinque anni.
A questo bisogna
aggiungere le attività di divulgazione che
proponiamo al Planetario e le altre sul territorio.
Tra i miei prossimi
progetti, mi piacerebbe fare una serie di eventi con
la logica del forum,dove il pubblico e i
protagonisti condividano idee con la formula della
crossculturalità, mettendo la fisica al confronto
con altre discipline.
D. Qual è la cosa che
consiglierebbe ad un giovane che vuole approcciarsi
alla scienza e alla fisica in particolare?
Questa risposta inizia
con una storia tratta da una vignetta: Un professore
americano entra in un’aula durante uno di quegli
incontri che in Italia chiameremo “open days”,
durante i quali gli allievi possono fare delle
domande ai docenti. Ad un certo punto dalla platea
un ragazzo chiede quale sia la differenza tra
l’astronomia e l’astrologia. Il professore risponde:
Nessuna, ci occupiamo delle stesse cose, solo che
nell’astronomia lo si fa con l’utilizzo di molta
matematica. A questa risposta l’aula si svuota
velocemente.
Consiglierei di imparare
la matematica e la fisica. Mi rendo conto che
possano avere un potere attrattivo inferiore
rispetto ad altre discipline, ma sono alla base di
tutte le scienze e ne danno seguito. Bisogna
rendersi conto che sono fondamentali. Bisogna
mettersi lì con pazienza all’inizio, ma i benefici
arriveranno senz’altro a tempo debito.
La risposta si conclude
con una frase di Galileo, secondo il quale “Il libro
della natura è scritto con una lingua speciale che è
la lingua della matematica”.
D. Concludiamo questa
intervista con una sua definizione di divulgazione?
Divulgazione in inglese
può essere tradotta in molti modi. Scelgo la parola
“dissemination”. Non mi piace molto dal punto di
vista letterario e del suono ma rende l’idea. In più
ti aiuta a comprendere e a pensare secondo il metodo
scientifico. Il metodo scientifico è fondamentale
perché aiuta a definire e capire l’importanza
dell’esperimento, della ripetitività e di quello che
c’è dietro il risultato.
L’intervista si conclude
con il rito della fotografia. Riapriamo la porta
dell’ufficio e le “urla festose” non ci sono più. Ci
aggiriamo per il Planetario vuoto e scegliamo il
posto dove fare lo scatto. Il luogo è meno vivace
rispetto al mio arrivo, ma domani è un altro giorno,
e il planetario si rianimerà conservando durante la
notte le sue meraviglie e i suoi segreti.
1) http://it.wikipedia.org/wiki/Gleb_Wataghin
2) http://it.wikipedia.org/wiki/Satellite_Gaia
Emmanuele Macaluso
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