ADDIO A STEPHEN HAWKING
Mercoledì, 14 marzo
2018
Nelle scorse ore, un
grave lutto ha scosso il mondo della scienza a
livello globale. Stephen Hawking è deceduto
all’età di 76 anni. Nato a Oxford nel 1942,
si è spento nella sua abitazione di Cambridge
la notte scorsa. A darne notizia un portavoce della
famiglia.
Scrivere un articolo
sulla morte di un uomo di scienza come
Hawking risulta complesso, perché la quantità di
studi, scoperte, pensieri , pubblicazioni, attività
media, premi e riconoscimenti è talmente vasta, da
mettere chi scrive nella certezza di dimenticare
qualcosa e di trattare argomenti così complessi e
profondi da non avere quella padronanza che deve
essere alla base di qualsiasi comunicazione
scientifica. A questo si aggiunga la condizione
umana di Hawking, che in queste ore viene messa in
grande risalto dai media, e che porterebbe portare a
essere eccessivamente critici o retorici.
Mi scuseranno i lettori,
se per la prima volta, da quando questo sito di
divulgazione è stato fondato, scriverò un articolo
utilizzando la prima persona. Penso che un’occasione
come questa, debba portarci a fare quello che un
uomo come il Prof. Hawking ci ha dimostrato di saper
fare: OSSERVARE, ANALIZZARE, LAVORARE, COMUNICARE e…
SAPER FARE.
Oggi miliardi di parole
stanno invadendo il web e vengono impresse su
giornali che tra poche ore giaceranno nei
cassonetti. Molte di quelle parole avranno la stessa
durata e lo stesso valore nello stesso lasso di
tempo.
Un giorno una persona a
me vicina, mi disse che "la morte fa vedere il
meglio e il peggio di chi rimane". Ai miei occhi di
uomo, comunicatore e divulgatore, quelle parole
stanno trovando conferme oggi.
Vengono chiamati a dare
opinioni su una persona che ha lasciato un segno
indelebile nella scienza, persone per le
quali - probabilmente - quegli stessi articoli non
saranno mai scritti. Forse un trafiletto. Forse
neanche quello.
In un turbinio di
provincialismo culturale tipicamente italiano,
nascono confronti tra il defunto e Albert
Einstein, pensieri sul defunto e la sua
malattia, su quella malattia e la sua esposizione
definita anche come “ostentazione”. Come se avessimo
dovuto prendere una delle menti più brillanti del
secolo e chiuderla in una casa con le tapparelle
abbassate perché il suo corpo era bloccato su una
sedia a rotelle. Come si faceva un tempo. Per
qualcuno siamo ancora lì evidentemente.
Ma quello che mi lascia
più perplesso, come professionista che in modo
indipendente si occupa di comunicazione
scientifica, è la diffidenza che si evidenzia
nei confronti della notorietà in ambito divulgativo
e sociale che Hawking ha raggiunto.
In molte dichiarazioni,
molti di questi “analisti”, “commentatori”,
“opinionisti”, “scienziati” mettono indirettamente
in evidenza la distanza che intercorre tra la
ricerca e la divulgazione. Un errore
tecnico e strategico che mette in evidenza fattori
allarmanti.
Se chiedessi al lettore
di pensare cosa sarebbe la ricerca senza la
divulgazione, ognuno darebbe la propria
risposta. È nell’ordine delle cose. Nella nostra
umana soggettività. Ma difficilmente potremmo
separare questi due elementi. Fermiamoci un attimo a
pensare perché.
La divulgazione per i
ricercatori rappresenta la possibilità di far
sapere cosa viene scoperto, per il pubblico di
venirlo a sapere e… di controllare come vengono
spesi soldi pubblici.
Qui arriva un nodo
importante. Perché la ricerca è ancora molto legata
a sistemi di finanziamento pubblico diretti e
indiretti. Molte delle frasi che ho letto in queste
ore sono infatti di dipendenti pubblici.
Ora, concludo con una
piccola riflessione. Una riflessione formulata da
una persona che per lavoro entra in contatto con
molti ricercatori e professionisti della scienza.
Una riflessione semplificata che però può essere
dimostrata.
1000 sono i team di
ricercatori, 10 le scoperte, 1 Stephen Hawking.
I motivi per tenere
lontana la ricerca dalla divulgazione a volte sta
nei numeri.
Per avere nuovi
“Hawking” è forse giunto il momento di fare qualche
cambiamento nel sistema di ricerca scientifica
dal punto di vista tecnico, finanziario e
strategico. Un nuovo modello che integri
maggiormente ricerca e divulgazione al fine di
rendere il sistema scientifico più efficace,
sostenibile e trasparente. Un modello competitivo e
positivo per la scienza e la sua evoluzione.
Concludo questa breve
analisi, che è molto più complessa di quanto sia
scritto, ponendomi un’ultima domanda: Cos’è la
grandezza?
Credo che sia qualcosa
di difficilmente immaginabile e comprensibile, alla
quale sicuramente credo di non appartenere
nonostante i miei sforzi quotidiani nell’informarmi
per divulgare e condividere i saperi.
Credo tuttavia che la
giornata di oggi non mi abbia messo nelle condizioni
di comprenderlo ancora, e che ho visto esempi in
grado di andare nella direzione opposta. Abbiamo
perso uno scienziato completo e globale, forse
dovremmo, con umiltà, accorgercene.
Tranquillizzo il lettore
sul fatto che dal prossimo articolo abbandoneremo la
prima persona e che la persona che ha scritto questo
articolo, mentre lo scriveva, aveva a disposizione
una tastiera, una mente e degli occhi perfettamente
connessi tra loro. Si cerca sempre di imparare dai
migliori. Addio Stephen.
Emmanuele Macaluso
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